Forse c’entra anche il fatto che ho un punteggio un po’ troppo alto nei test per il Disturbo da Deficit di Attenzione: proporre lo stesso servizio, nello stesso sfondo, con la stessa luce… mi spegne il cervello in un attimo.
È probabilmente per questo che, per quanto l’idea possa affascinarmi, faccio fatica a proporre sessioni in studio – se non in casi davvero speciali. Quello che voglio fare, davvero, è creare ritratti spontanei attraversati da una vena poetica, nostalgica. Non reportage puro, ma fotografie che si sentono da qualche parte, dentro.
Ho trovato la mia strada così: entrando nelle case delle persone, cercando storie nei luoghi più diversi – a volte persino inusuali.
Perché ogni casa – anche la vostra – custodisce angoli inaspettati dove la luce cade nel modo giusto, dove ci si può sentire davvero tranquilli, tra le proprie cose, con i propri tempi.
Spesso una sessione pensata per durare 40 minuti diventa un’ora e mezza: ci perdiamo a fare colazione insieme, a chiacchierare, a condividere. E in quel tempo che si allarga, le fotografie diventano un’esperienza che crea un ricordo.
Io non vi lascio soli davanti all’obiettivo: siete lì, a fare le vostre cose, e io vi accompagno con discrezione. Vi suggerisco qualcosa ogni tanto, ma la regia è vostra. Ed è proprio questo che rende ogni scatto irripetibile.
Con Eleonora, per esempio, abbiamo pensato a una colazione insieme, qualche gioco sul tappeto e un po’ di solletico sul letto.
Cosa c’è di più normale – e più prezioso – di una sessione fotografica a casa, una mattina insieme con un po’ più di tempo per stare vicini?




































